di Giuseppe Luongo *
Definire un fenomeno, nel nostro caso il Bradisismo, significa, come affermava Umberto Eco, stabilire tra i suoi attributi quelli che appaiono come essenziali e in particolare quelli che sono causa del fatto che il fenomeno sia quale esso è, in altri termini la sua forma sostanziale: sollevamento del suolo, terremoti, attività idrotermale.
Con il termine Bradisismo si intende il moto lento del suolo sia in abbassamento che in sollevamento e si utilizza nell’area flegrea che è caratterizzata da tale fenomeno. I dati storici si riferiscono all’area del Porto di Pozzuoli, dove è collocato il Serapeo con le colonne che hanno registrato il livello del mare nei secoli e dove nell’Ottocento gli studiosi effettuavano le misurazioni del livello del mare. La fase in abbassamento avviene ad una velocità molto bassa, mentre quella in sollevamento è più elevata, rispetto alla prima, di 10-20-30 volte. Questi dati e i successivi si riferiscono all’area di maggiore attività, posta nei pressi del Porto, dove il fenomeno è più vistoso. I dati misurati nell’Ottocento, fino a metà Novecento, quando il suolo si abbassava, forniscono una velocità media di 1.5 cm/anno. Invece durante le crisi in sollevamento le velocità sono state variabili; valori simili si sono osservati per le due crisi degli anni 1970-72 e 1982-84, quando sono stati registrati valori di 50-60 cm/anno. Le due crisi sono state seguite da fasi di subsidenza del suolo sviluppate per 30 – 50 cm in alcuni anni. L’intervallo tra le due crisi citate è stato di 10 anni; invece, la crisi in corso è iniziata 20 anni fa, dopo una fase di subsidenza durata circa 20 anni. La velocità è stata molto variabile, inizialmente molto bassa, solo negli ultimi 3 anni la velocità del sollevamento ha raggiunto valori di 20-30 cm/anno.
Quando le autorità di Protezione Civile citano il Rischio bradisismico non è chiaro cosa intendono. Facciamo chiarezza: quando il suolo si abbassa, il mare lentamente sommerge la fascia costiera per circa 1.0-1.5 m in un secolo. In questa fase gli inconvenienti prodotti possono essere arginati in tempi lunghi senza affanno. Invece il fenomeno inverso, ovvero il sollevamento, è accompagnato da una rapida deformazione delle rocce che si fratturano e generano terremoti superficiali. Quindi il rischio bradisismico in sollevamento è, in realtà il rischio sismico. Questi fenomeni citati, sollevamento e sismicità, sono utilizzati come precursori di una possibile eruzione e, quindi, vanno attentamente seguiti e interpretati.
Dallo scenario descritto è evidente che nell’area flegrea è necessario che si proceda prioritariamente alla mitigazione del rischio sismico, mentre quello vulcanico può, eventualmente, presentarsi successivamente o non presentarsi affatto, come è accaduto per la crisi del 1982-84.
Per la mitigazione del rischio sismico occorre definire il massimo terremoto dell’area flegrea dal quale ci si intende difendere. Questo terremoto può essere il massimo atteso nell’area o il più probabile tra i valori della fascia elevata. Questa scelta è il prodotto di un’analisi costi/benefici. Naturalmente i costi degli interventi crescono al crescere del livello di difesa.
Occorre anche definire l’area di maggiore probabilità di genesi dei terremoti, con l’aiuto del meccanismo che produce la deformazione delle rocce. La prossimità della sorgente sismica agli edifici è determinante per i danni, unitamente al livello di vulnerabilità degli stessi. Quindi occorre definire: vulnerabilità degli edifici; prossimità della sorgente sismica; energia liberata dal sisma atteso. Su questi punti si sono fatte molte parole e pochi fatti. Occorre un numero congruo di tecnici che esaminino la vulnerabilità di tutti gli edifici nell’area sismogenetica. Tale area occupa il centro della caldera flegrea da Bacoli a via Campana, dalla Solfatara ad Agnano-Pisciarelli e Bagnoli, per una superficie di 30 km quadrati. Non è da trascurare l’obiettivo della collocazione delle sorgenti sismiche più energetiche attese, in base al modello di deformazione dello strato superficiale.
Non è questa la sede per dibattere della genesi del fenomeno. Sarebbe opportuno avere maggiori garanzie sull’interpretazione del fenomeno attraverso un dibattito aperto tra i componenti della comunità scientifica. Anche sulle notizie che circolano bisogna porre massima attenzione, siano esse prodotte da cittadini che da esperti, in quanto i primi possono essere condizionati dalla paura, mentre i secondi dal desiderio di sostenere la propria tesi scientifica. Altre motivazioni non possono essere ipotizzate per evitare effetti incresciosi.
* Giuseppe Luongo, Professore Emerito geofisica Università Federico II, già direttore Osservatorio Vesuviano INGV