Noi dei Campi Flegrei, figli di un Dio minore

Noi abitanti dei campi Flegrei abbiamo l’animo diviso in due, da un lato l’amore incondizionato per questa Terra, dall’altro la paura, che dal 13 marzo per i bagnolesi, in particolare, si è fatta più forte e difficile da gestire. Prima di quella data ci sono state diverse scosse, anche violente, ma per la magnitudo, la durata e la localizzazione dell’epicentro, nessuna delle precedenti aveva fatto danni paragonabili, non a Bagnoli. E quando parlo di danni, non mi riferisco solo alle crepe nei muri. Di quella notte ho ricordi per nulla nitidi del durante ma molto chiari e precisi di ciò che ho fatto immediatamente dopo. Riaffiora alla mente una sensazione di forte scuotimento, come se qualcuno cercasse invano di svegliarmi da un sonno profondo, poi mi rivedo in piedi come in una bolla, rumori imprecisati e violenti che giungono da ogni direzione, ma non sono io quella che si dimena in piedi con le braccia al cielo e la bocca spalancata da cui però non odo alcun suono. Non sono io che con la coda dell’occhio vedo il mio compagno andare verso il balcone della camera da letto per buttarsi di sotto – meglio morire schiantandosi che sotto le macerie – avrà pensato. E’ come se mi percepissi dal di fuori, proprio come in quei film in cui sei morto ma riesci a vedere quello che succede accanto a te. Poi la tregua. Come proveniente da un altro pianeta, lontano, distante, un suono familiare. Ci metto un po’ a realizzare che è il campanello di casa. La mia dirimpettaia preoccupata per le grida ha bussato per sincerarsi che stia bene: la rassicuro al meglio di quel che posso e inizio a guardarmi intorno. Libri, cocci di vasetti ricordo di mia nonna paterna, un caleidoscopio, una bambola di pezza e diversi altri oggetti sono sul pavimento dell’ingresso soggiorno. Mi precipito in veranda da cui proviene, lo avverto solo adesso, un vento freddo. Lo scuotimento ha fatto scivolare un’anta della veranda che non chiude perfettamente, mi avvicino per accostarla e sento che mi si stanno bagnando i piedi: il vaso con i fiori che era sul tavolo è caduto, come anche lo schermo del pc, e l’acqua si è riversata sul pavimento. La luce della luna illumina la stanza compreso il lato che dà in cucina sul cui pavimento bianco si staglia un rivolo rosso. Per un attimo la mia mente fa delle capriole, sono in un episodio di C.S.I., piuttosto che Dexter o Breaking bad, complice Vincenzo, il mio compagno, che si è acquattato alle mie spalle con fare sospetto. Deglutendo mi avvicino lentamente all’arco che dà nel cucinotto immaginando le peggiori scene del crimine e quando un inconfondibile olezzo di vino stupra i miei sensi già provati, realizzo che devono essere cadute due bottiglie ancora chiuse che avevo sulla mensola della cucina e accendo la luce. Mi arrotolo i pantaloni del pigiama, recupero stracci e secchio ed inizio ad alzare vetro e vino da terra con un’energia che non credevo di avere. Vincenzo mi imita e nel giro di un’ora abbiamo ripulito mobili e lavato a terra. Non appena finiamo mi accorgo che presa dall’urgenza di convincermi che non è successo nulla, non ho neppure acceso il cellulare. Non appena il display si illumina ricevo una valanga di messaggi, rassicuro i miei, qualche amica e mi siedo sul letto. Solo in quel momento le vedo: si sono aperte crepe nel tramezzo tra la camera da letto e l’ingresso… passo in rassegna tutta la casa, quindi scendo per le scale e noto una fessura profonda e diversi calcinacci nel vano scala. Contatto l’amministratore del condominio e concordiamo che è necessario richiedere l’intervento dei vigili del fuoco e della Protezione Civile, che arriveranno due giorni dopo, nella notte tra il 14 e il 15 marzo e dopo essere saliti e scesi, entrati e usciti dai vari appartamenti, ci dicono, senza troppi giri di parole, che la facciata del nostro palazzo è a rischio ribaltamento e che abbiamo un quarto d’ora per prendere le nostre cose e lasciare le nostre case. Ho riempito meccanicamente uno zainetto e una borsa, in cui successivamente ho trovato una borraccia, le scarpe da ginnastica, due biglietti per il teatro e due libri a me molto cari ma neppure una mutanda, ho sistemato la borsa alla meglio sul mio cinquantino e zaino in spalla salutato i miei vicini e ho percorso il breve tragitto che separa casa mia da casa dei miei. Oggi la mia vita si divide in un Prima e Dopo quella notte, prima e dopo quel tratto di strada in cui ho guidato senza immaginare esattamente quel che sarebbe accaduto dopo ma con la percezione netta che nulla sarebbe stato più uguale a prima.

Ho vissuto gli ultimi due anni con un’ansia e una paura che non sempre riuscivo a domare perché spesso, durante gli sciami serali, si faceva talmente forte da togliermi il sonno, salvo poi al mattino, costringermi ad affrontare una giornata lavorativa pur essendo a pezzi, e tuttavia mai mi sarei immaginata di sentirmi dire quelle parole.

In quell’istante ho afferrato cosa prova chi da un giorno all’altro si ritrova letteralmente per strada, e mi sono sentita molto fortunata ad avere ancora dei genitori ed un compagno da cui potermi rifugiare. Mi sono chiesta dove sarei andata in caso contrario e come avrebbero fatto le persone che si trovavano nella mia stessa condizione ma non avevano le mie possibilità. E’ stato allora che è scattato qualcosa. Mi sono detta che non potevo, che non dovevo restare sola, che avevo bisogno di condividere i miei dubbi e le mie sensazioni con le persone che stavano vivendo il mio stesso dramma o che convivevano, come, me con la paura, perché forse condividendola, quella paura mi avrebbe fatto meno male. Si perché la paura del bradisismo non è solo il terrore che si scatena nel momento in cui la terra trema e pensi al peggio, pensi che la tua casa possa crollarti in testa da un momento all’altro, la paura del bradisismo è anche quella che ti attanaglia quando rientri dopo una giornata di lavoro e ti stendi sul divano a leggere o a guardare qualcosa in tv e proprio in quel momento avverti il battito che accelera e la tua mente comincia a vagare e tu non riesci a fermarla anche facendo appello a tutta la razionalità di cui sei capace perché oramai non sei più al sicuro nel posto in cui piùdi ogni altro dovresti sentirti tale. E quella paura la vivi come un’ingiustizia profonda perché quel posto, questo posto, la nostra costa, il mare, la terra su cui camminiamo e perfino i cimeli industriali che ci raccontano dei nostri nonni, dei nostri padri, di generazioni che hanno lottato per i loro diritti e che talvolta hanno pagato con la vita il prezzo della loro dignità, noi lo amiamo, perché siamo figli di questa terra e della sua storia, perché i Campi Flegrei sono parte della nostra identità culturale e sociale.

Avevo letto da qualche parte che c’era un gruppo che si stava mobilitando già da tempo sulla questione: erano gli stessi che la notte del 13 marzo si erano battuti assieme ai cittadini di Bagnoli per far aprire i cancelli della ex Base Nato. Ho iniziato a frequentarli e mi sono resa conto immediatamente di stare nel posto giusto. Nessuno cercava di imbrigliare o prevaricare l’altro ma ciascuno era libero di esprimere le proprie idee, le proprie preoccupazioni e il proprio disagio ma anche di proporre strade, iniziative, modalità con cui affrontare questa cosa enorme che ci aveva investiti. Non c’erano gerarchie né schieramenti e così se da un lato, assieme agli altri condomini venivo sballottata tra protezione civile e polizia municipale per capire chi dovesse accompagnarci nelle nostre case a recuperare qualche altra cosa che non fossero libri e biglietti del teatro, dall’altro ho iniziato a darmi da fare per informarmi, studiare, capire come muoverci e cosa fare. Sollecitare le istituzioni, inchiodarle alle loro responsabilità, sfruttare ogni occasione utile per richiamare l’attenzione dei media sul problema dei Campi Flegrei è diventata la mia priorità. Abbiamo provato a farci portavoce delle istanze degli sgombrati e di tutti gli altri cittadini colpiti in misura diversa dal sisma e a dare risposte a chi si rivolgeva a noi anche per avere informazioni basilari che non riuscivano a recuperare altrove, come ad esempio richiedere il controllo della propria abitazione da parte della Protezione civile. E questo fare incessante, questo prodigarsi per recuperare informazioni, risposte, incontrarsi per mettere in piedi iniziative, fare volantinaggio, condividere notizie e sviluppi della situazione, allargare la partecipazione a nuovi compagni, ha richiesto un notevole impegno ed energia ma mi ha anche fatto sentire meno impotente e sola.

E se siamo riusciti a raggiungere qualche traguardo, come l’attivazione del Contributo per l’Autonoma Sistemazione, peraltro non ancora erogato, l’implementazione di uno sportello dedicato in municipalità, la proroga al 20 maggio per coloro che sono stati collocati in albergo è stato anche e soprattutto per la forza, la determinazione e la tenacia di questi giovani compagni – ci chiamiamo Assemblea popolare non a caso – che hanno fatto da traino mobilitando abitanti e commercianti del quartiere di Bagnoli ma anche dei comuni limitrofi come comitati, associazioni e residenti di Pozzuoli, anch’essi in prima linea per la difesa del nostro territorio.

Dal primo grande evento qualche giorno dopo la scossa, un corteo fortemente partecipato tenutosi il 21 marzo in occasione della presenza dei Ministri Salvini, Piantedosi e Valditara a Città della Scienza per un convegno sulla Sicurezza, in cui, armati di cuscini, abbiamo strappato la promessa dell’interessamento del Governo sulla questione dei Campi Flegrei all’invito a Palazzo Chigi il 27 marzo u.s. dove ad attendere la delegazione dell’Assemblea popolare, di cui facevo parte, c’era il Ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ed il Prefetto di Napoli Michele di Bari. In quell’occasione oltre ad illustrare le criticità del momento, relative agli effetti determinati dalla scossa del 13 marzo, abbiamo consegnato nelle mani del Ministro un documento contenente una serie di punti fondamentali per provare ad “affrontare” in modo sistemico e globale il problema del bradisismo dei Campi Flegrei. Ci aspettavamo o quantomeno speravamo che questa potesse essere l’occasione di una svolta rispetto alle politiche finora attuate sui nostri territori, un impegno che andasse oltre la mera situazione emergenziale e invece, ancora una volta, si è preferito metterci una toppa, nessuna strategia globale, nessuna vision del futuro, nessuna prevenzione. Ancora una volta le problematiche del nostro territorio sono state ampiamente svalutate, ancora una volta noi cittadini dei Campi Flegrei ci siamo sentiti figli di un Dio minore perché i problemi del nostro territorio continuano ad essere solo nostri, salvo quando si tratta di passerelle elettorali. I pochi milioni di euro stanziati probabilmente non basteranno neppure a coprire i costi del ripristino dei palazzi che sono stati sgomberati in quanto dichiarati inagibili. Altro che microzonazione, studi di vulnerabilità e pianificazione delle vie di fuga! Ancora una volta si è persa l’occasione per scegliere da che parte stare, per dare un segnale forte agli abitanti di questi luoghi, per dimostrare che la politica sa essere anche lungimirante e dare risposte concrete. Eppure con il Progetto di Risanamento di Bagnoli l’attuale Governo ha formalmente preso l’impegno di mettere mano alla riqualificazione dell’ex area industriale anche se il progetto è ancora in via di definizione e i lavori non sono ancora partiti. Ma di quale sviluppo possiamo parlare se prima non garantiamo la messa in sicurezza dell’attuale patrimonio urbanistico? Il miglioramento sismico degli edifici, in special modo quelli di tufo, potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte. Certo tutto ciò ha un costo ma quanto vale la vita dei cittadini flegrei? Quale futuro possiamo immaginare se prima non garantiamo i diritti essenziali a coloro che già abitano il territorio? Il diritto alla casa, alla sicurezza e ad un ambiente salubre?

Forse ancora una volta questo territorio serve a sbandierare slogan e favorire investimenti privati a scapito di chi in questi posti ci è nato o ha scelto di viverci per la bellezza naturalistica, la sua storia e la sua autenticità. Ma anche se il Governo si volta dall’altra parte e noi siamo stanchi, delusi, amareggiati, non ci daremo per vinti perché non è nella nostra natura e perché “nella vita non bisogna mai rassegnarsi, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna trovare il coraggio di ribellarsi”